Senza panchine

23 marzo 2014
DOC

di Pasquale Grella, educatore

Partendo dal presupposto, tutto da discutere, che la democrazia è anche la possibilità di camminare in città tra estranei, tra culture e soggettività diverse, provo a descrivere una sensazione personale alla luce di recenti avvenimenti di carattere d’arredo urbano e non solo. Nell’attuale sistema democratico, da più parti disegnato in profonda crisi, la paura dei suoi cittadini porta a richiedere una politica di sorveglianza anche quando questa non ha giustificazioni di esistere, e quando, conti alla mano, in Italia il rapporto fra tutori dell’ordine e cittadini è il più alto d’Europa. Anche a costo di limitare la propria libertà, la richiesta dell’opinione pubblica è quella di rimuovere o controllare i luoghi dell’incontro e dove sostano gli “estranei”, scoprendo con disgusto di essere scivolati in una accettazione non voluta dell’estraneo nella propria casa.

Le panchine nelle città posizionate lungo i viali o nei parchi diventano una cartina di tornasole della democrazia di un Paese, l’incapacità di dare risposte ad un problema tutto politico spinge il potere a dare solo risposte d’apparente emergenza. In aiuto arriva l’ultima tendenza urbanistica delle grandi città occidentali dove la piazza come luogo dell’incontro viene bandita, e dove al massimo si trovano solo interventi riqualificanti per aree già esistenti. Da Parigi a Londra, da New York a Rio de Janeiro le panchine sono viste come luoghi sospetti dove clochard, barboni, immigrati, gente di malappartenenza possono trovare rifugio. Contro di loro si adegua un regolamento urbano lasciato alla decisione del poliziotto o vigile urbano che decide sull’istante la metrica penale da seguire. Fuori dal coro in Europa solo Barcellona dove lungo les Rambles sono state poste delle panchine comode in cui è possibile fermarsi per trascorre del tempo in ozio.

Nell’area degli Acquedotti (area interna al più noto parco regionale dell’Appia Antica in Roma) frequentato dagli abitanti di un quartiere totalmente privo di punti di incontro collettivo, si assiste ad uno strano fenomeno d’uso delle panchine.

Per i ragazzi è questione di incontro fra più persone, pertanto le panchine non sono il mezzo, ma posizionate in un determinato modo sono il luogo, l’area dell’incontro. Risultato: le panchine vengono spostate dal posizionamento iniziale e portate dove altri non possono interferire, fino all’assurdo di posizionarle proprio sugli acquedotti a notevole altezza dal suolo con tutto il bagaglio di problemi che l’atto crea (danneggiamento dei monumenti, rischi a persone e cose ecc.)

Foto di Pasquale Grella

Foto di Pasquale Grella

Gli anziani invece che hanno bisogno di veder passare le persone per nuove amicizie, o per trascorrere momenti ad osservare oppure non allontanarsi troppo per non affaticarsi, hanno l’esigenza di posizionarsi ai limiti del parco per poter esserne contemporaneamente dentro e fuori: anche in questo caso la panchina non ha casa, è continuamente spostata per rispondere a singole esigenze.

Terzo gruppo e molto più variegato e numeroso , è il mondo del controllo ai minori: mamme, nonni, baby sitter e altri vogliono la panchina vicino al loro piccolo, ed essendo modificati gli interessi dei bambini, lo deve essere anche il posizionamento della panchina. Risultato: il servizio di controllo e tutela dell’area non salda più le panchine al suolo, permette questi spostamenti, seguendoli quanto possibile. Le panchine sono tutto meno che panchine, sono la casa, il club, il salotto, il ripostiglio, ma anche l’elemento d’appiglio per una parte dell’opinione politica per fare campagna elettorale, non poche volte infatti su fogli volanti, interventi politici, stampa locale si sono registrati attacchi a questa realtà libertaria: la panchina va posizionata in quel posto, le priorità sono …, gli usi debbono essere….

Un risultato lo si è ottenuto: le nuove panchine che si posizionano nei parchi sono degli orribili massi di pietra , disposti molto distanti l’uno dall’altra e che possono ospitare poche persone, max due.

Foto di Pasquale Grella

Foto di Pasquale Grella

Quello che rende ostile e non si perdona alla panchina è che contiene l’ambiguità dell’uso, concede sia la possibilità di sedersi ma anche di poterci scivolare sopra, dormire e, lontano dallo sguardo discreto, farci l’amore.

La panchina non ha un modo d’uso: un atteggiamento viene considerato più o meno tollerabile a giudizio della guardia o della polizia urbana. Le panchine offrono nello spazio urbano luoghi di frammentazione della soggettività, di riposo da una ricerca di sopravvivenza, ma anche spazi dove ricostruire una socialità.

Non abitando più il luogo dove consuma il quotidiano, la comunità stenta a riconoscersi ed è per questo che la variante violenza è del tutto ormai scleroticizzata: di esempi nella nostra bella patria ce ne sono stati moltissimi.……..(A Bologna durante la durissima contestazione giovanile degli anni settanta del novecento il sindaco vietò di sedersi in terra; sotto la pressione della potente associazione dei commercianti a Roma negli anni novanta del novecento fu fatto divieto di sedersi in piazze pubbliche; la maggioranza silenziosa di Palermo riuscì a far vietare l’appoggiarsi ai muri dei palazzi cosiddetti storici, in quest’ultimo caso il fatto è ancor più esemplificativo visto che quella stessa maggioranza negli anni sessanta assistette silenziosamente e fu complice alla distruzione della città storica per far avviare il più osceno piano di edilizia mai registrato in città occidentale, non ultimo il provvedimento della giunta di Trento).

A New York le ultime aree libere da costruzioni furono inserite in un programma ufficiale del piano urbanistico con scopi edificatori, ma un ampio settore dell’opinione pubblica ha mandato in fumo il progetto, semplicemente acquistando tali aree e autogestendole posizionando in loco come prima cosa proprio delle panchine. Attualmente a Berckley ( San Francisco) il programma municipale, sotto la pressione dell’opinione pubblica, ha avviato un programma per i giovani (Berckley Youth Alternative) con la collaborazione di docenti e studenti della locale facoltà di Architettura del paesaggio, sta dando inizio a un progetto partecipato per la creazione di un community garden. Adolescenti, bambini, genitori, residenti anziani hanno elaborato insieme, nel corso di una serie di laboratori bilingue, un piano per il giardino che comprende: a) un giardino per bambini b) un giardino dimostrativo c) un’aula all’aperto d) arredamento urbano.

Ma all’opposto, al fine di rispondere alle richieste di un crescente malumore qualunquistico nel metrò parigino, è stata sperimentata una panchina “anticlochard”. Questa non consente un appoggio stabile. Non vi ci potete sdraiare ma nemmeno sedere perché è concepita come una superficie in pendenza, buona solo per la semplice attesa del treno. Su di essa si fa fatica a riposarsi perché tutto il peso del corpo ricade sulle gambe che debbono svolgere il ruolo di freno.

A Hong Kong precisi regolamenti di polizia proibiscono a chi passeggia per gli enormi shopping center di sedersi, perfino di sostare per poco, per farlo bisogna entrare nei bar dove è obbligatoria la consumazione e si “consiglia” di consumarla in fretta. Le panchine nascono nelle città europee e americane, sono un arredo ai giardini e ai viali dei quartieri della nuova borghesia che avanza e si afferma sulla scena economico-politica, sono la risposta “urbana” al bisogno di uscire e sedersi per strada. Un vero e proprio capitolo specifico per le panchine occuperà i manuali di ingegneria .

Ma con il passar degli anni, a causa della forte immigrazione interna, le città diventano luoghi in cui il passeggio perde la presa e lo status. Le panchine diventano il luogo degli anziani o degli innamorati “poveri”.

“Stare in panchina” diventa il luogo comune un sinonimo di essere tagliati fuori dall’azione. La panchina è il luogo in cui finiscono, al momento del pensionamento, coloro che non sono più utili al processo produttivo e, devono accettare la logica dell’emarginazione.

Foto di Pasquale Grella

Foto di Pasquale Grella

Già negli anni settanta del novecento a Parigi era proibito distendersi su una panchina: ne fanno fede le mille macchiette di attori “mimo” rappresentate lungo i viali e nei parchi cittadini. Arrivava un flic e vi diceva subito di mettervi seduti , minacciando severe sanzioni. Come se la panchina descrivesse il limite pericoloso tra il sedersi in modo dignitoso e il lasciarsi andare “giù verso la china”.

La nostra società preferisce definirsi “malata” anziché riconoscere nelle proprie contraddizioni il prodotto su cui si fonda. Nelle città europee e americane il “riposo” diventa, se esercitato in pubblico e non in linea con indicazioni di moda ( nei parchi romani è possibile prendere il sole con costumi di dimensioni ridotte ma non quello di sdraiarsi semplicemente ), un atto a forte richiamo sessuale. Il corpo disteso nella mentalità perbenistica incita all’osceno.

Si è comunque molto lontani dall’abitudine di far di questo pubblico manodopera forzata come avveniva in Roma nel 1660 per i lavori agricoli in agro romano. Contro quel clima di forte intolleranza nei confronti dei senza fissa dimora, aizzato da ricchi proprietari terrieri, si dovette mobilitare addirittura il Vaticano visto che tra i più offesi furono i pellegrini che giungevano nella città per devozione e rischiavano di essere avviati coattamente ai lavori di campagna perdendo ogni forma di diritto sociale.

Un esempio di urbanistica partecipata cittadina ad ampio respiro in Italia è operativo a Empoli. Il progetto prevede di rivedere e rielaborare insieme con gli abitanti uno schema generale di riqualificazione che è già stato finanziato. L’intervento previsto nel circondario empolese valdese propone di scoprire e consolidare i legami tra gli abitanti e l’ambiente circostante. L’aspetto innovativo dell’approccio utilizzato consiste nell’attribuire il ruolo di catalizzatori della partecipazione i bambini e i giovani delle scuole medie superiori. Come affermato dai più noti urbanisti sociali occorre che l’urbanistica torni ad esser capace di captare, interpretare e soddisfare le reali esigenze degli abitanti .

La città odierna è ormai la città degli adulti, di chi produce e consuma, di chi si muove con l’auto, di chi è forte. E’ un luogo ostile a tutte le fasce cosiddette deboli che hanno bisogno di un ambiente comunitario rassicurante e accessibile, sicuro e conviviale. In particolare, i bambini e le bambine hanno bisogno di panchine su cui sedersi e ascoltare le voci compatibili con i bisogni dell’infanzia, in special modo quelli legati al racconto di una città dove una volta tanto tempo fa…..

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