RIGENERARE LA PERIFERIA ITALIANA

23 marzo 2014
DOC

RIGENERARE LA PERIFERIA ITALIANA

GRUPPO SALÌNGAROS

Testo per il Convegno “Nuovi modelli di trasformazione urbana”, Roma, 8-9 aprile 2010.
Proponiamo un metodo per la ristrutturazione urbanistica in Italia. Le grandi città italiane si sono evolute attraverso i secoli, guidate da interventi umani intimi, su piccola scala. Non vogliamo che siano ripetuti gli errori urbanistici compiuti dal dopoguerra a oggi, che hanno portato alla creazione di orribili e antiumane periferie-dormitorio. Vogliamo ricreare città, non “periferie”. I luoghi che producono vita urbana sono caratterizzati da fattori di natura geografica e culturale locali che si adattano alla vita di ogni persona. Ci opponiamo perciò a qualsiasi metodo che consideri il territorio una tabula rasa e che non presti attenzione a tutto quanto di significativo in esso esista, sia di artificiale sia di naturale. La nostra proposta di metodo per ottenere una periferia idonea alla vita umana è basata su cinque punti essenziali: 1) ricerca scientifica sui processi di sviluppo urbano, ossia sui meccanismi dell’urbanistica; 2) sviluppo delle regole urbanistiche per una città vitale, muovendo dalla scoperta di morfologie e tipologie funzionali accumulate lungo i secoli; 3) utilizzo di soluzioni tradizionali sostenibili, adattate e aggiornate alle esigenze odierne; 4) rispetto del principio della progettazione partecipativa, che garantisce il senso di appartenenza e di gradimento da parte dei residenti nei confronti delle case e dell’ambiente urbano; 5) esclusione di ogni tipo di forma basata su un’ideologia che non sia stata vagliata con il criterio dell’adattabilità alle esigenze e ai bisogni umani. Ne deriva che disponiamo di due metodi progettuali da applicare alle nuove costruzioni e per riparare un tessuto urbano degradato. Le città vitali sono caratterizzate da una complessità molto avanzata e interconnessa, definita dagli edifici, dagli spazi, dai materiali e dalle superfici, una complessità che funziona in modo opposto alle forme semplici delle “città-giardino” e delle “città-dormitorio”. La struttura delle città è tradita da qualsiasi proposta formale e semplicistica che neghi tale complessità. Una città vivente assomiglia a un organismo coerente, nelle sue componenti urbane, a ogni scala, sia grande che piccola. Noi applichiamo un metodo sviluppato nella teoria della complessità e dell’intelligenza artificiale, per definire la complessità a grande scala. La generazione della forma urbana parte dal sistema viario e degli spazi urbani, direttamente in situ. Purtroppo, la progettazione contemporanea non concepisce la scala socio-urbana, limitandosi al piano dei singoli edifici: con ciò, mostra di arrendersi alla frammentazione della cultura postmoderna e nichilista, incentivando il deterioramento sociale delle città. La situazione della periferia richiede una difficilissima operazione di micro-chirurgia rigenerativa urbana. Occorre allora focalizzarsi totalmente sul controllo della crescita della città dal basso. Per ristrutturare la periferia occorre seguire un metodo e una teoria, accantonando quasi tutto quanto è stato fatto dal dopoguerra in avanti. La geografia, l’orografia, l’influenza di pre-esistenze naturali o artificiali, le tracce del tempo e i segni territoriali devono guidare il processo insediativo. Soltanto camminando nel luogo oggetto dell’intervento possiamo riconoscere le strutture urbane dotate di un’anima propria, identificando quei luoghi che la gente ritiene vitali in base alle proprie emozioni, dove si prova piacere a sostare. Tali luoghi devono essere preservati nel nuovo progetto, anche se possono sembrare modesti, ad es. un albero, un muro, una piccola costruzione, ecc. La città andrebbe progettata con un flusso pedonale/veicolare intenso, per incoraggiare la creazione di un’economia di movimento AL CENTRO. Allo stesso tempo, misure per ridurre il traffico andrebbero imposte al fine di garantire che le strade principali non divengano barriere che tagliano la città, il che risulterebbe catastrofico. L’area d’intervento è composta di bacini pedonali dotati di centro. Oggi la formazione offerta dalle più accreditate Scuole d’Architettura condanna gli architetti a progettare periferie. Essi non sono più capaci di progettare nuclei di città, perché hanno perduto la capacità di stabilire relazioni gerarchiche tra le sue parti. La qualità vitale non sorge mai dalla mera somma di tante qualità architettoniche, poiché essa si stabilisce invece attraverso i rapporti. Una bella piazza non deve essere necessariamente la somma di belle architetture. La qualità dello spazio è data dalla relazione degli edifici tra loro. Nel centro storico di un qualsiasi paese fatto di case vecchie e malmesse, con gli angoli sbrecciati, quasi sempre si respira un’atmosfera accogliente. Tutto ciò non si ritrova nei quartieri modernisti, costituiti da edifici perfetti che però non dialogano tra di loro, perché sono privi di reciproca connessione, monadi sparse in maniera casuale e dall’apparenza insensata. La qualità vitale è un complesso di relazioni coerenti che conferisce significato. L’architettura è lo strumento attraverso il quale i luoghi divengono affascinanti, attraverso cui l’uomo caratterizza lo spazio. Noi abbiamo bisogno di riferimenti, di luoghi dotati di senso vitale, dove possiamo mettere radici. C’è una differenza tra il mobile e l’immobile. L’immobile, la città, ha le radici, il mobile no. Quindi non sono la forma e la funzione i parametri dell’architettura, ma lo spazio e il tempo, la storia e la geografia. Questo è il criterio fondamentale dell’architettura di qualità, del quale i nuovi interventi debbono tenere conto. Se lo spazio è un organismo, la città può trasformarsi senza perdere la sua anima. L’architettura e la città contemporanee nascono congelate, l’architettura e la città vive di una volta si trasformano. La città italiana è altro dalla singola manifestazione artistica di un designer, al contrario di quanto pensano molti amministratori che invitano le archistar a implementare un grande progetto. Inoltre, è uno sbaglio credere di ottenere la densità giusta attraverso una crescita verticale della città, perché tale dimensione alimenta un processo di scollegamento tra gli elementi urbani e tra le persone. La cultura urbanistica che pretende simboli di “progresso” come grattacieli e vasti spazi aperti dimostra di essere antiquata. Un piano che si basa su di un motivo geometrico astratto e ripetuto non può adattarsi alla cultura urbanistica insediativa di coloro i cui antenati scolpirono nella pietra alcuni dei posti più splendidi della terra. Il progetto convenzionale ed elementare, mascherato da un’apparente gradevolezza formale, si caratterizza per una mono-funzionalità, una mancanza di tessuto connettivo fatto di strade, piazze e isolati capaci di innestare quel livello di complessità che dà vita alle città, e rappresenta un modello urbanistico fallimentare.

Il Gruppo Salìngaros ([1]) è costituito da: Ciro Lomonte (Palermo), Paolo Masciocchi (Milano), Ettore Maria Mazzola (Roma), Wittfrida Mitterer (Bolzano), Pietro Pagliardini (Arezzo), Pietro Pini (Firenze), Sergio Porta (Glasgow), Nikos A. Salìngaros (San Antonio), Stefano Serafini (Roma), Stefano Silvestri (Bologna) e altri.

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