Acqua diritto umano e sociale – Acqua bene comune dell’umanità

1 gennaio 2014

Perché alle soglie del terzo millennio, un gruppo di intellettuali di diversi paesi del mondo ha sentito il bisogno di costituire un Comitato per un Contratto Mondiale sull’Acqua?

Perché anche nel nostro paese abbiamo sentito questo bisogno e ci siamo costituiti in comitato italiano mentre su tutto il territorio vanno diffondendosi comitati locali?

Rispondendo sinteticamente, è perché stiamo prendendo coscienza di due grandi ed epocali questioni: – l’acqua su questo nostro pianeta, sul quale tutti stiamo aggrappati e vogliamo vivere: ricchi e poveri, del Sud o del Nord del mondo, bianchi o neri, cristiani o mussulmani, l’acqua dicevo, quella meravigliosa mescolanza di idrogeno ed ossigeno senza la quale non c’è vita: va rapidamente riducendosi. -l’acqua su questo pianeta sta per diventare una merce da comprare e vendere da possedere e con la quale fare affari e profitti.

Pensiamoci, non sono cose da poco, ma soprattutto sono cose che non possono più essere ignorate dai cittadini.

Ecco, in queste due realtà, stanno le ragioni di un movimento, di un Manifesto e di una campagna per fare dell’acqua un Bene Comune di Tutta l’Umanità ed un Diritto Umano inalienabile e non contrattabile, proprio in quanto diritto.

Facciamo tutto ciò anche perchè siamo costretti a prendere atto, che il senso profondo di ciò che sta succedendo attorno all’acqua non trova posto nell’agenda politica delle istituzioni e dei partiti e non lo trova  nemmeno nell’agenda delle grandi associazioni ambientaliste.

Lo facciamo perchè non esiste ancora una presa di coscienza nell’opinione pubblica, la quale nella sua dimensione più ampia forse ignora che l’acqua sul pianeta Terra, non è una risorsa rinnovabile ed inesauribile che si rinnova continuamente col ciclo climatico dell’evaporazione e delle piogge. No! L’acqua buona, l’acqua dolce, l’acqua da bere, l’acqua per le funzioni e per le attività vitali umane si disperde, si inquina e le piogge non assicurano l’identico riequilibrio, nel riempimento delle falde e degli invasi.

Inoltre spesso dimentichiamo che questa straordinaria risorsa è in sostituibile. Possiamo vivere senza petrolio, possiamo sostituirlo col carbone o con l’energia degli animali o delle nostre braccia. Ma l’acqua non è sostituibile e ciò la rende Unica e come tale va considerata,  trattata, regolata ed amministrata praticamente, giuridicamente e costituzionalmente.

Proviamo a pensare, oggi di fronte all’esaurirsi delle risorse energetiche fossili, a come il nostro modello di sviluppo pur di mantenere il PIL, sembra indirizzare la ricerca verso combustibili vegetali ma che inesorabilmente richiedono acqua per la loro coltivazione, oppure  si orienta verso il combustibile idrogeno che ancora una volta è ricavabile dall’acqua. Acqua quindi, ancora acqua e sempre acqua.

Per queste ragioni l’acqua non deve e non può essere considerata un BENE ECONOMICO e tanto meno PRIVATO. Non può essere considerata una merce ed il Petrolio del 2.000.

Non dovremmo mai cessare di ribadire a noi stessi, che così come ci risulta chiaro che la luce del sole non può essere oscurata per poterne privatizzare l’uso, che per le stesse ragioni, nessuno può imprigionare l’aria, l’acqua non dovrà diventare di proprietà o gestione di qualcuno.

Bene, a questo punto forse vale la pena di mettere in evidenza alcuni dati significativi della realtà idrica del mondo.

Nel pianeta solo il 2,5% dell’acqua presente sulla terra, è acqua dolce. Di questo 2,5% ben 2/3 restano racchiusi nelle calotte polari nei ghiacciai e nelle distese nordiche. Il rimanente 1/3 è appunto quella, costantemente riciclata nei cicli climatici, sporcata inquinata da agricoltura, industria e insediamenti abitativi.

La drammatica realtà si palesa sempre più: Fiumi importanti vengono imbrigliati, deviati e prelevate  le loro acque senza pensare al futuro o a chi vive lungo il loro corso: il Colorado, il fiume Giallo i grandi fiumi del mare d’Aral, il Nilo ecc..stentano ad arrivare al mare, l’uso a monte determina deserti a valle e conflitti tra stati e popoli e persino tra comunità della stessa nazione o della stessa regione.

Per esempio, nei conflitti israelo-palestinese o Iran -Irak la componente acqua ha  pesato e pesa non poco, così come in molti conflitti dell’Africa nera. Le falde di numerosissimi paesi, sono sottoposte a prelievi tali da determinare un vero e proprio irrecuperabile DEBITO idrico. In altri termini si pompa dalle falde più di quanto la natura è in grado di riepire di nuovo.(ne più ne meno come un conto in banca) Se si pensa che, con la cosidetta rivoluzione verde, gran parte delle attività agricole avvengono in regime di DEBITO idrico, si ha la dimensione della gravità del problema.

La Cina settentrionale, l’India, il Pakistan, gli USA, il nord Africa, il Medio Oriente assommano complessivamente un debito idrico annuo pari a due volte la portata del Nilo. A questo proposito in Cina le falde si abbassano di un metro e mezzo ogni anno. E sempre a prosito di debito idrico, come non ricordare la falda di Ogalalla negli (USA). La falda più grande del pianata, che serve ben 8 stati, che possedeva un volume d’acqua pari 200 volte la portata del fiume Colorado. Ebbene questa falda ha dal 1.960, perso un volume pari a 18 volte la portata del Colorado.

E che dire dei Balcani. La guerra chimica non dichiarata dagli USA e dall’UE, con i bombardamenti degli impianti di Belgrado e Novi Sad e i criminali interessi di una sola multinazionale mineraria dell’oro che ha vi sversato cianuro, hanno ferito quasi mortalmente il grande cuore idrico d’Europa, il Danubio.                                                                                                                          Ora la natura ci stà presentando i conti, e sotto accusa è  un modello di sviluppo, un modello sociale ed uno stile di vita americano, del tutto insostenibile. Acqua, aria, le fonti della vita stessa battono cassa. Abbiamo inquinato, cementificato, deforestizzato, asfaltato, prelevato e disperso troppo, e la nuova religione capitalista della globalizzazione neoliberista, chiede ancora di più, sempre di più.

L’acqua è così un bene comune maltrattato e dilapidato Dal 1960 ad oggi, i consumi di acqua si sono TRIPLICATI. Dal 1996 stiamo usando più della metà delle acque di superficie che restituiamo inquinate dalle nostre attività.

Inoltre, nel mondo, le falde fossili non rinnovabili, sono pressochè all’esaurimento. Nell’Arabia Saudita completamente, mentre nel Magreb non dispongono di più di 40 anni L’acqua è più scarsa, l’acqua è più inquinata, l’acqua è più sprecata.

La parte del leone nel prelievo dell’acqua la fa l’agricoltura con il 70% del prelievo, il 20% va’ all’industria e il 10% alle attività domestiche e di svago. In definitiva l’acqua potabile giornaliera e procapite disponibile, è passata anch’essa negli ultimi 40 anni, da 17.000 metri cubi a 7.500 metri cubi, ancora sufficiente per tutti gli abitanti della terra, (se si considera che 1.700 metri cubi è il minimo oltre al quale  una società entra nello STRESS-IDRICO), ma a condizione si affermino in fretta principi diversi, da quelli che dominanti oggi.

L’acqua è un DIRITTO umano non rispettato.  L’acqua è  ancora sufficiente. Eppure  un miliardo e 400 milioni di persone, soffrono per mancanza di acqua potabile, e si calcola che nel 2.020 ben 3 miliardi e 600 milioni di persone saranno in queste condizioni.

E non basta registrare la diversa distribuzione territoriale delle risorse idriche sul pianeta, ancora una volta, occorre fare i conti con l’iniqua distribuzione dei consumi e la totale assenza di una cultura e di una politica solidale e collettiva tra e verso tutti gli abitanti della Terra.

Occorre ricordare che il 20% della popolazione, quello che detiene l’86% delle ricchezze del pianeta, consuma anche l’88% dell’acqua disponibile. Un automobile necessita di 400.000 litri d’acqua per la sua fabbricazione e più o meno il 70% del parco automobili è concentrato nel Nord del mondo. Una tonnellata di cereali necessita di 1.000 tonnellate d’acqua e contemporaneamente è bene ricordare che il 60% delle terre irrigate nel mondo, serve per alimentare l’11% della popolazione più ricca. E il 70% della produzione agricola serve all’alimentazione animale, per fornire carne alla tavola dei ricchi.                                                                                                                               L’acqua è perciò un problema, un problema moderno e non più eludibile da uomini donne e istituzioni: mondiali-nazionali- locali. E’ un problema che in forme diverse coinvolge tutti i paesi. Se nei paesi del sottosviluppo è la carenza d’acqua o la sua potabilizzazione il problema di fondo, nei paesi sviluppati come l’Italia i problemi sono quelli  dell’inquinamento,  della contaminazione  dello sperpero e del prelievo abusivo d’acqua  sia di falda che di superficie, per effetto di una agricoltura chimico-intensiva, dell’industria e delle discariche più o meno abusive di rifiuti tossico nocivi gestite dalla criminalità organizzata in un quadro di interessi e connivenze con le istituzioni e le imprese.

Sono più di 3000 siti da bonificare censiti e altre decine di migliaia del tutto sconosciuti,  una vera e propria bomba a tempo per  il patrimonio idrico.  Si pensi che in Italia, solo il 20% delle acque di superficie risulta non inquinato. Le acque di prima falda utilizzate negli anni 50 negli acquedotti municipali in molte città come Milano ricche di sorgive (fontanili), sono state da tempo abbandonate perchè irrimediabilmente inquinate. Oggi a  Milano si pompa in terza falda a 120 metri circa, e si corre il rischio che se si preleva troppo  si richiama acqua inquinata dalle falde superiori.

A questi problemi strutturali legati agli insostenibili modelli produttivi e consumistici si aggiungono gli incredibili sprechi di un’ amministrazione della cosa pubblica piegata ai più disparati interessi privati e clientelari, ed ad una propensione consumistica dei cittadini, ancor più esasperata rispetto ad altri paesi. L’Italia preleva il 32% delle propie disponibilità idriche contro il 20% della media europea, è con 980 metri cubi di prelievo annuo procapite, la prima consumatrice d’acqua in Europa e la seconda nel modo dopo gli USA.

L’Italia detiene il primato anche nel consumo per uso domestico, 250 litri pro capite al giorno, contro i 160 della Germania ed è la maggior consumatrice di acqua minerale del mondo. Il 70% degli italiani non beve più acqua del rubinetto. E gli sprechi di una altrettanto assurda negligenza della pubblica amministrazione, fanno si che il 35% della popolazione servita dalla rete acquedottistica non disponga di acqua sufficiente, nel Sud tale percentuale sale al 70%.

Solo 1/3 degli acquedotti è dotato di impianti di potabilizzazione e le perdite in rete sono dell’ordine del 35% contro il 10% -15% della Germania Con l’acqua buona degli acquedotti, si puliscono le strade, le aiuole dei giardini  pubblici e privati e spesso le piscine e i campi da golf. Mentre in agricoltura i sistemi di irrigazione a pioggia sono pressocchè sperimentali. La gestione delle concessioni all’utilizzo delle fonti minerali è in fine, una giungla scandalosa, dove al privato viene pressochè regalata acqua di fonte al prezzo simbolico di 0,01£ al litro mentre la si vende a 500 – 1.000 £ e più. Ma tutta la politica delle acque minerali si fonda su di un colossale imbroglio dei cittadini ed è esemplificativa di una privatizzazione già in atto.                                                                                                                              L’acqua minerale, nata come acqua curativa di particolari fonti con particolari proprietà, è stata per queste ragioni posta in un regime di libero mercato e regolata dalla domanda e dalla offerta. Successivamente tale regime è stato esteso alle acque di sorgente indifferenziatamente e al di la di particolari proprietà curative, ora con la direttiva della comunità Europea, l’acqua dei rubinetti si può inbottigliare e mettere sul mercato, cosa che la Parmalat si è subito affretta a fare con la dicitura acqua da bere. Il risultato è semplice: la stessa acqua, del rubinetto, quella dell’acquedotto pubblico che normalmente paghiamo, depurazione compresa 1,3£ al litro, la beviamo in regime privato e in bottiglia a 300- 500 £ al litro con buona pace delle multinazionali come la Nestlè e la Danone che controllano il 35% delle acque minerali. E’ solo questione di pubblicità. Poi si riesce a far bere ciò che si vuole al prezzo che si vuole.

Ma proseguendo. In Italia, è praticamente impossibile definire con una approssimata certezza il consumo d’acqua.  Non si conoscono le quantità e la qualità delle acque prelevate,  la dislocazione delle derivazioni e captazioni non si conoscono le concessioni rilasciate ecc… Negli ultimi anni le captazioni abusive sono aumentate del 70% nel mezzogiorno e i prelievi abusivi superano quelli legittimi.  Ma anche i costi vivono in un regime di incertezza.

In tutta l’Europa è ormai acquisito che il settore domestico finanzia l’agricoltura. In Italia ciò si sostanzia nel fatto che il canone del settore agricolo è dal 1.933 al 1.994 diminuito di ben 4 volte, il costo per l’uso umano è aumentato di di ben 12 volte.

Infatti a parità di modulo quantitativo, ed equiparando i costi ad oggi si può osservare che:

-agricoltura.

Costo modulo 1.933 = £ 255.000 costo modulo 1.994 = £ 70.000

-consumo umano.

Costo modulo 1.933 = £ 260.000 costo modulo  1.994 = £ 3.000.000

C’è sicuramente qualcosa da rivedere in questa agricoltura europea iper-sostenuta dal pubblico intervento, che divora abbondantemente il 50% dei finanziamenti europei alla quale si regala acqua indefinitivamente e il più delle volte per produrre, come nel caso italiano, cose che finiranno al macero e che occupa non più del 4% della popolazione attiva.

Infine val la pena di segnalare la dispersione in una ridda di enti della gestione dell’acqua nel nostro paese. 13.000 acquedotti, 7.000 enti gestori, 1.110 municipalizzate, 330 delle quali liberalizzate e trasformate in SPA, 30 totalmente privatizzate, 40 in procinto di diventalo.                                                                                                                           Bene, tutta questa carrellata di cifre e considerazioni, per sostanziare e ribadire di nuovo che l’acqua è un grande problema, nel quale convergono tanti altri problemi: ambientali, economici, di classe, di equilibri internazionali, di democrazia, di potere ecc, e che occorre quindi trovare il bandolo della matassa da cui partire.  Ecco, il bandolo da cui partire, è ancora una vota la riaffermazione dei  principi generali del contratto mondiale:

Acqua diritto umano e sociale – Acqua bene comune dell’umanità

Sono principi che penso dovrebbero entrare nel DNA del nostro pensiero e del nostro agire, per darci ogni volta la dimensione  del “peccato contro la collettività” che si commette, quando viene sprecata, inquinata o consumata in abuso per il gioco dei ricchi.   E da questi principi l’ho gia detto, discende il rifiuto dell’idea che l’acqua possa essere IL PETROLIO DEL FUTURO, capitalisticamente gestito e messo sul mercato.    Viviamo un era dove i servizi entrano, in modo determinante, nel business delle imprese private e vengono iscritti col consenso dei partiti e dei governi nella agenda del WTO

L’acqua entra in questa voce servizi e in questa feroce tendenza del mercato,e tutto ciò è dirompente dal punto di vista della tenuta del vivere collettivo di una società. Il capitale privato non intende più operare solo nell’industria, nell’agricoltura, nelle miniere ecc…vuole libertà d’agire a tutto campo nelle infrastrutture dei servizi che fanno funzionare la comunità, ( acqua, elettricità, gas, trasporti,polizia, rifiuti, strade, scuola, persino carceri,ecc..)

Tutto deve essere sottoposto alle regole del mercato.  Deve essere sottratto alla politica, intesa come insieme di valori e scelte determinate dall’interesse del vivere comune. Su questa cultura si sta modellando la scuola e tutto il sistema educativo mondiale, che a sua volta si intende privatizzare e piegare ai bisogni liberi da ogni principio etico o morale delle multinazionali. Tutto ciò spezza l’idea stessa del bene comune.

E se anche l’acqua entra nel gioco del libero mercato, l’umanità può stare certa che è come se avesse firmato una cambiale in bianco per le prossime Guerre.

A tale proposito vorrei ricordare che il vicepresidente della BM Ismail Serageldin, ha sostenuto che le guerre del 2000 saranno per l’acqua. Ma è proprio la BM a giocare un ruolo determinante nel far accettare ai dirigenti politici dei paesi sviluppati e sottosviluppati, le proprie regole statutarie, che sostengono appunto l’investimento privato nei servizi, acqua compresa.                                                                                                                                Ebbene, il ruolo  della Banca Mondiale si è misurato all’Aia, quando dal 17 al 22 di marzo del 2.000 ha promosso la Conferenza mondiale sull’acqua, conclusasi con una risoluzione nella quale ogni idea di acqua diritto umano, è stata accantonata affermando per la prima volta, il principio dell’acqua  come bisogno umano.

La differenza è enorme. Il concetto di diritto implica che la collettività debba farsi carico di assicurare l’accesso a tale diritto a tutti, ovunque si trovino e indipendentemente dal fatto se possono o no pagarlo.

Quando parliamo di bisogno, invece affermiamo la concezione che implica la capacità del singolo di soddisfare tale bisogno. Un semplice cambio di termini, ma che esemplifica chiaramente come si stia sistematicamente smantellando il riconoscimento che ci sono dei diritti umani e sociali inalienabili come quello di non morire di sete, per affermare invece il principio della responsabilità individuale. Tocca all’individuo soddisfare i propri bisogni con la ricchezza “conquistata”

Ma la Banca Mondiale, sostiene che:  l’acqua scarseggia per effetto dell’aumento della popolazione, che occorre farla pagare di più per dissuaderne i consumi eccessivi, che le infrastrutture di coptazione, messa in rete, trattamento e depurazione costano troppo per i poteri pubblici e necessitano di alta tecnologia, tutte cose che solo i privati posseggono e possono sostenere, a patto di creare loro le condizioni perchè possano sviluppare il water management: ovvero il business.

Ma non è così. E forse non c’è nemmeno bisogno di citare Il presidente del River Network, per sapere che le imprese private non investono se non hanno ottenuto garanzie finanziarie dagli stati e crediti dalla BM e dal FMI.

Ecco, il bandolo della matassa è rispondere a questo ordine di problemi su scala globale, ma capendo che la dimensione della battaglia si sviluppa anche  nei confronti dei parlamenti nazionali e delle municipalità locali ma soprattutto nell’opera di informazione e formazione di una coscienza e di una cultura politica nuova ed alternativa al neoliberismo e al social-liberismo.

Cioè battere l’idea che tutto possa o debba essere privatizzato

Opponendo per prima cosa ai sostenitori delle tesi neo-liberiste in materia di servizi alcuni argomenti:

– Non è detto che la domanda d’acqua debba per forza aumentare, perchè non è detto si debba continuare con simili ritmi di produzione industriali o di consumi, che ormai sono insostenibili  per l’aria, il territorio, il clima ecc..

– Perchè non è detto che si debba continuare con una agricoltura chimicizzata, intensiva ed idrodistruttiva.

– Non è detto ancora che sia l’annunciato aumento della popolazione del terzo mondo il fattore che innalzerà esponenzialmente il deficit idrico mondiale perchè come abbiamo visto, esso dipende principalmente dal modello di consumi della popolazione dei paesi sviluppati. Il problema non è la nascita dei bambini nel Burkina Faso, il problema è la nascita dei bambini USA, ognuno dei quali  consuma ogni giorno, 30 volte l’acqua che consuma il bimbo del Burkina.

Non è una buona ragione, nemmeno quella che facendo pagare di più l’acqua attraverso la privatizzazione, si costringe la gente a consumare meno. La politica di qualsiasi privato è quella di vendere sempre di più al prezzo sempre più alto.

No, il problema è quello di fare i conti in ogni paese con le forme specifiche che assume la privatizzazione. Ed nel nostro paese questa è in atto in modo strisciante da lungo tempo.

Occorre perciò fare i conti con leggi come le varie  Bassanini, salutate positivamente dai più, che hanno via via praticamente vincolato tutti i comuni alla liberalizzazione dei servizi, liquidando le vecchie, alcune anche efficienti ed in attivo, Municipalizzate dell’energia del gas e dell’acqua, trasformandole in SPA operanti alcune a tutto campo anche all’estero.

Il business è iniziato, vanno formandosi poderose Multiutility, come ACEA, AEM, ecc…e va aprendosi il mercato italiano all’ingresso di quelle straniere: Vivendi, Lyonnes des Eaux Mettere l’acqua ai primi posti dell’agenda politica delle istituzioni italiane vuol dire perciò operare un ribaltamento delle priorità, non più le privatizzazioni, ma per esempio, mettere mano allo stato pietoso della gestione del territorio.

A partire dalle ormai periodiche alluvioni e i disastri da queste provocati ( nel solo bacino del Po dal ‘90 al ‘97 si sono spesi 7.000 miliardi e si stima che in futuro occorreranno 400-500 miliardi all’anno per tamponare i danni provocati dai mutamenti climatici e dai dissesti idrogeologici). Per continuare con le emissioni dei gas serra e i mutamenti climatici, con gli inquinamenti agricoli, la desertificazione, salinizzazione, deforestazione, il malgoverno dei bacini (si pensi allo scandalo del bacino Lambro, Seveso, Olona.); allo sperpero insostenibile degli usi domestici e voluttuari, piscine campi da golf ecc..

E’ mettere ordine al “disordine” dei regimi locali di proprietà d’uso e di gestione dell’insieme delle risorse idriche Tutto ciò che ha consentito uno sfruttamento individualistico talvolta di vero e proprio privilegio feudale e mafioso o di moderna corruzione.

C’è tante cose da fare per una politica degna di questo nome, basta ricominciare  dai diritti collettivi.

Cominciando magari con l’affermare qui nel nostro paese, nei nostri comuni il principio che vogliamo estendere universalmente, cioè che i costi per garantire a tutti i cittadini il diritto all’acqua devono essere presi a carico dall’intera comunità, attraverso la fiscalità collettiva, Che ad ogni persona devono essere garantiti 40 litri di acqua a gratis in quanto rappresentano, il minimo indispensabile. Che i quantitativi successivi devono essere pagati secondo la progressività dei consumi, infine occorre individuare la soglia oltre la quale scatta l’abuso ed il reato contro l’interesse umano.

Non abbiamo la presunzione della verità. Ma siamo convinti che non ci sia più tempo per l’indifferenza, la natura ci sta chiedendo di saldare conti terribili. Dobbiamo rispondere a lei e alle generazioni prossime e ormai vicinissime: quelle dei nostri figli.
Emilio Molinari ( Vice Presidente del Comitato Italiano per il Contratto Mondiale sull’acqua ) da rivista Orientamenti del 2001

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